lunedì 3 giugno 2013

Aratro - Cristo si è fermato a Eboli



“Tante genti sono passate su queste terre, che qualcosa si trova davvero, e dappertutto, scavando con l’aratro.  Antichi vasi, statuette e monete escono al sole, sotto la vanga, da qualche antica tomba.”
In questo piccolo brano tratto da Cristo si è fermato ad Eboli, Carlo Levi racconta dei fortuiti ritrovamenti, da parte dei contadini che lavorano la terra, di tesori risalenti al periodo del brigantaggio, un fenomeno di dissidenza nei confronti dello Stato sviluppatosi nel Sud Italia con la formazione del Regno d’Italia. Questi briganti rubavano denaro o oggetti preziosi che venivano poi persi durante le eventuali fughe, oppure sotterrati in determinati punti.
L’autore nomina due importanti strumenti di cui gli agricoltori si sono sempre serviti: l’aratro e la vanga.
Dal “Storia delle macchine” di Vittorio Marchis apprendiamo che l’aratro è citato da numerosi scrittori (come White Jr., Goguet, Chambers, Plinio e Virgilio nelle sue Georgiche) di opere varie ed enciclopedie, che hanno dedicato le loro ricerche anche alla storia di questo strumento così antico.

 Virgilio dice dell’aratro:

“Cerere insegnò per la prima volta ai mortali l’aratro […] e adesso ho da raccontare le armi dei duri coloni, senza le quali non si può seminare, né sorge la messe: il vomere e l’aratro ricurvo di legno pesante. […] Si doma a gran forza un olmo nei boschi, per farne la bure che dà forma all’aratro ricurvo; s’applica a questa un timone di otto piedi, due orecchie e dentali con duplice dorso.”

Goguet nel suo  “ De l’origine des lois, des arts et des sciences et de tous les progress chez les anciens peoples” tratta della storia di questo essenziale strumento da lavoro, prima nell’era classica e poi si sposta in Oriente, cercando le sue radici in Cina:

“La costruzione de’ primi aratri era semplicissima. Questa macchina, che in alcuni paesi oggigiorno [1759] è assai complicata, era nella sua prima origine composta d’un sol pezzo di legno assai lungo, e curvato in modo che una parte si profondasse nella terra, e l’altra servisse per accoppiare i bovi. Non v’erano ruote d’alcuna maniera, ma soltanto un manico, coll’ajuto del quale il condottiero potesse a sua voglia, e secondo il bisogno dirigerlo, e voltarlo in ogni parte.”


“Dicono che anticamente i popoli si nutrivano deì frutti degli alberi, delle piante, e delle carni degli animali […]. Chin noong (successore di Fo-hi) facendo attenzione ed alle stagioni, ed alle qualità del terreno, tagliò un pezzo d’albero, e ne formò un istrumento chiamato fu, il quale serviva ad accoppiare i buoi. Dipoi lo piegò, e fece divenir duro per mezzo del fuoco un altro pezzo di legno per formarne un coltro d’aratro, ed in questa maniera insegnò agli uomini a coltivare la terra.”

In antichità con l'utilizzo dell'aratro la terra era destinata a subire una trasformazione radicale. L'intenso sfruttamento imponeva una rotazione delle colture. Ogni anno una parte dei campi doveva essere  lasciata riposare (cioè veniva messa "a maggese"), anche se, in luogo del frumento i contadini potevano coltivare altre piante commestibili ("da rinnovo"), come le patate, il granoturco etc., le cui radici raggiungevano strati ancora più profondi, non sfruttati. Oppure vi lasciavano pascolare gli animali domestici. 
Questo nuovo strumento meccanico, era generalmente di due tipi: uno per i climi secchi, dove la terra è leggera e friabile, e bisogna evitare che l'umidità giunga in superficie e si disperda; l'altro invece è per i climi piovosi, dove si ha bisogno di rovesciare le zolle per impedire che l'eccesso di umidità faccia marcire il seme.
Il primo aratro era "a chiodo", anzi, "a forcella", in quanto mentre gli animali da tiro venivano aggiogati al ramo più lungo, quello più corto invece tracciava dei solchi nel terreno, senza rovesciare le zolle.  

                             
Esempio di aratro a chiodo (www.antoniocosola.it)

Il secondo aratro era detto "a vomere" e doveva fare l'operazione opposta: con la sua lama di ferro doveva penetrare in profondità, favorendo il rovesciamento e l'evaporazione delle zolle. Un attrezzo del genere aveva bisogno della trazione di almeno tre animali da tiro.

Esempio di aratro a vomere (www.fungoceva.it)

Con l'aratro a chiodo quindi si rompevano solamente le zolle, che non venivano rovesciate: era perciò necessaria un'aratura incrociata. Ne consegue che i campi assumono una forma pressoché quadrangolare.
Plinio cita l'aratro pesante a ruote trainato da quattro coppie di buoi, Le ruote rendono più facilmente trasportabile il mezzo e la maggiore forza di trazione permette l'aratura anche di terreni umidi e pesanti, quali quelli dell?italia settentrionale.
Il coltro è una lama pesante posta sul bure o timone dell'aratro, e taglia verticalmente la terra. Il vomere, che forma quasi un angolo retto con il coltro, taglia la terra orizzontalmente, all'altezza delle radici dell'erba; il versoio, infine, rovescia la zolla distaccata dal terreno, voltandola a destra o a sinistra, a seconda della sua posizione. Con questa macchina la forma dei campi si allunga, perchè non è più necessaria l'aratura incrociata, e assume anche una posizione leggermente incurvata, per favorire il drenaggio naturale.
Esempio di coltro o coltello dell'aratro (www.europeana.eu)

Esempio di vomere dell'aratro (www.ua.all.biz)
Esempio di versoio o rovesciatoio dell'aratro (www.agristore.it)


Fonti: "Storia delle macchine - tre millenni di cultura tecnologica" di Vittorio Marchis, www.homolaicus.it




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